“Vogliamo vedere Gesù...."; è la domanda che, alcuni greci rivolgono a Filippo; come altri personaggi, anche questi, che oggi incontriamo nella narrazione di Giovanni, possono essere assunti a simbolo, il simbolo di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutte le culture, i quali chiedono, desiderano di conoscere Gesù, di incontrarlo; i " greci" di cui il Vangelo parla, non hanno un nome, e non a caso, il loro nome, infatti, è il nostro.
E' credibile che l'episodio sia realmente accaduto, ci sono, infatti, i particolari: Filippo che si consulta con suo fratello Andrea, e la decisione di rivolgersi, assieme, al Maestro; allo stesso modo, è probabile, che gli anonimi personaggi, siano alcuni, tra quelli che avevano sentito parlare del giovane rabbi, il quale operava guarigioni, dominava i demoni e, soprattutto, parlava con autorevolezza, proponendo una dottrina nuova.
Tutto è probabile, ma quel che conta è il desiderio, che muove i passi verso la conoscenza, non come fatto intellettuale, anche se si parla di greci, ma come qualcosa di più profondo, un cammino nella fede, il bisogno di credere, di affidarsi, di seguire Qualcuno.
La risposta di Gesù ai due fratelli, Andrea e Filippo, è, appunto, nel segno della croce, nascosta nel simbolo del chicco di grano, di cui parla la splendida, breve parabola: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto...".
Il chicco di grano, come ogni altro seme, per sprigionare tutta la sua fecondità, deve, necessariamente cadere sul terreno, deve essere ingoiato dal buio della terra e lì, lentamente, macerare, prima che un nuovo stelo, si affacci alla luce del sole, e cresca, e produca, nuova vita.
E' la vicenda del Figlio di Dio. Così Paolo commenta nell'inno Cristologico della Lettera ai Filippesi
"Cristo Gesù, pur essendo di natura divina (…),
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo,
e divenendo simile agli uomini;
umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte,
e alla morte di croce..." ( Fil.2,6-8 )
La morte di Cristo è feconda di vita, la sequela di Lui, portando la croce, è altrettanto feconda di salvezza, che è vita, rinnovata e trasfigurata nella Sua morte e resurrezione.
Concludo questa breve riflessione, con le parole di Tichon, il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, un testimone del nostro tempo, che con fede e coraggio ha percorso la sua " Via Crucis"; arrestato, confinato, imprigionato, morì il 7 aprile 1925; un seme, che nel solco di Cristo, irradia ancora vita e santità.
In una lettera ai suoi fedeli, il Patriarca scriveva: " Fratelli miei! Anche se ad altri sembrerà debolezza questa santa mitezza della chiesa, questi nostri appelli alla paziente sopportazione dell'inimicizia contro i cristiani e della cattiveria,.... e anche se alla mentalità mondana sembrerà «insopportabile» e «crudele» la gioia che trova la sua sorgente nella sofferenza a causa di Cristo, noi preghiamo voi, per tutti i nostri figli ortodossi, di non abbandonare questa disposizione cristiana, l'unica che porta alla salvezza; vi preghiamo di non deviare dal cammino della croce, che Dio ci ha mandato dall'alto, per il cammino mondano della violenza e della vendetta... "
sr Mariarita Pisano o.p.
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